Forse siamo in molti a ricordare Mafalda, la ragazzina, ferocemente idealista, disegnata da Quino, e una delle sue più celebri battute: «Fermate il mondo… voglio scendere». È una tentazione che metaforicamente può aver colto molti, pronti a staccare la spina da ogni impegno che non riguardi solo se stessi o i propri familiari. Certo però non vogliono scendere dal mondo, anzi lo fermerebbero per salirci, quei milioni di giovani che ormai da tempo hanno deciso di manifestare perché i governi dei loro Paesi adottino politiche ambientali capaci di scongiurare il riscaldamento globale, l’aumento dell’anidride carbonica nell’aria, la deforestazione, lo scioglimento vorticoso dei ghiacciai a qualsiasi latitudine si trovino, in una parola politiche che impediscano che parti sempre maggiori del nostro pianeta siano rese inospitali e inabitabili.
Del mondo poi non si disinteressano nemmeno quegli anziani disposti a farsi caricare dalla polizia, anzi letteralmente staccare dalla terra a cui si erano incollati, a Dover (Gran Bretagna), per manifestare contro il cambiamento climatico e la dipendenza del Regno Unito dalle importazioni alimentari, una vulnerabilità che nell’arco di pochi anni potrebbe portare il Paese a vere e proprie carestie. John Lymes, 91 anni e una sua amica di 83 erano in prima fila tra i dimostranti.
«È meraviglioso che i giovani protestino, ma è stata la mia generazione ad aver creato tutti questi problemi, quindi eccomi qua», ha spiegato Lymes a chi era sorpreso di trovare un vecchio signore a capo di una pacifica protesta, badando a essere arrestato in diretta televisiva. Certo un problema contingente che tocca da vicino la propria vita è una grande spinta alla mobilitazione; manifestare per qualcosa che si vive come “lontano” presuppone una carica ideale e una presa di coscienza che non tutti hanno. Perché crediamo di potercene infischiare di una Foresta Amazzonica lasciata in pasto agli speculatori terrieri dove si sono contati 73.000 incendi, dello scioglimento irreversibile dell’Artico, dei più di 9 milioni di ettari di terreno diventato deserto, a cui si sommano oltre 5 milioni di ettari di terreno coltivabile eroso, 4 milioni di ettari di boschi in fiamme e stiamo parlando soltanto di una parte dello scempio perpetrato quest’anno nel mondo.
Potremmo mettere a fianco a queste, le cifre delle sostanze tossiche rilasciate nell’ambiente, i milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica, la grandezza del continente di plastica che soffoca gli oceani: per chi ha deciso che certe cose non lo riguardano non cambierebbe nulla! Invece il problema in pochissimo tempo diventerà talmente stringente, così sovrannazionale che saranno le persone di ogni latitudine, non l’azione di questa o quella nazione particolarmente sensibile, ma il mondo in quanto uno e indivisibile a dover dare risposte, a doversi dare un governo mondiale capace di mettere in campo azioni vincolanti, senza i patteggiamenti e le furbizie che abbiamo visto finora.
Siccome però a dire e scrivere di certi argomenti si viene spesso accusati di catastrofismo, se pure non andremo a sfilare alla prossima manifestazione per il clima e non saremo in prima fila come John Lymes, cominciamo a fare la nostra parte dai piccoli gesti quotidiani: usando ad esempio borse di stoffa per fare la spesa, o bevendo l’acqua del rubinetto; preferendo pile ricaricabili e materiali comunque riutilizzabili; avendo cura di fare la raccolta dei rifiuti differenziandoli secondo le indicazioni date dal nostro comune oppure regalando i vestiti che non indossiamo più.
Gesti semplici, insomma, che non costano nulla, che magari ci faranno anche risparmiare, ma soprattutto saranno il nostro modo di essere a fianco dei nostri nipoti.
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